Sankt Moritz, Engadina. Anzi, Passione Engadina. E l’edizione numero 13, per l’esattezza. Al Cinema Scala, Damien Ng, analista della Julius Bär (la banca privata svizzera), dice che dal 1990 l’obesità nel mondo è cresciuta in maniera esponenziale; il (master)chef Andreas Caminada parla di semplicità e genuinità, e chiude il discorso con un “ci vediamo domani” da acquolina in bocca; il designer Klaus Busse di Maserati (che con quest’escursione alpina festeggia i 110 anni di tridenti) confessa di aver capito di essere un chicco di caffè solo durante una visita alla Lavazza; Simona de Silvestro, che pilota è dir poco, ammette di aver sempre sognato di partecipare alle Olimpiadi, ma visto che l’automobilismo come specialità non c’è, allora si è data al bob (con la nostra nazionale); Aloisa Ruf, figlia di cotanto padre, sfoggia una giacca da scena di caccia con Sissi e parla di una mostra fotografica a Los Angeles: la sua. Due neolaureati, Philip Nitsch e Julien Bast, discutono di proteine, malattie degenerative e cure sperimentali. A dirla, poi, tutta ci sarebbe stato anche Lorenzo Ramaciotti (designer ex Pininfarina etc etc), ma strane congiunture astrali (leggi: collegamento Internet a pedali) hanno troncato ogni sua partecipazione sul nascere.

Ma non è finita qui. Il giorno dopo, a pranzo al Kulm, tra un tortellino di Mamma Rossella e l'altro (lei è proprio quella del Montana di Fiorano), Giovanni mi racconta una rocambolesca storia di due profughi armeni, uno dei quali era un certo Stefano (Serapian, nonché suo prozio). Questo, dopo che la sera prima, a cena, un banchiere di Julius Bär mi stava spiegando il debito pubblico come neanche un video di Tik Tok è mai riuscito a fare, mentre Paolo Spalluto, l’organizzatore, raccontando di Pigna Verde e di quanto fosse stufo di comprare certificati per la CO2, per ottenere il silenzio in sala, metteva il turbo e sfoderava un “O’ sole mio” da standing ovation. Lo so, non ci stai capendo niente. Guarda, la verità è che all'inizio anch’io ci ho messo un po’...

Tutto inizia a marzo, quando il Paolo di cui sopra mi chiama e mi invita quassù. “Grazie, grazie” e ovviamente pensavo di partecipare a un raduno di auto come tanti (o tutti?): mangia, guida, rimangia, riguida e buonanotte suonatori. Invece mi sono ritrovato a una festa, dove si fa un networking che neanche in Silicon Valley, passeggiando tra le macchine, vista montagne, a stringer mani, ad abbracciar gente come amici ritrovati, più che incontrati per la prima volta. Il tutto coronato dall’happy ending in discoteca dove, distinti signori ridenti e saltanti, si spintonano a suon di “We are family” (titolo non casuale, visto che in Passione Engadina, Paolo ci ha messo la sua, di famiglia) mixato dall’organizzatore in persona. Sì perché, smessi i panni di Clark Kent, Paolo si trasforma in DJ Paolone (lui che disc jockey lo è stato davvero).

Certo, la verità è che poi, per ammazzare il tempo tra un talk e uno speech, si è guidato su e giù per l’Engadina (per inciso: mai assolata come quest’anno). Certo (e due) che le macchine disseminate sui prati del Country Club del Kulm erano tante e belle (Miura, 250 California, manciate di F40…). Certo (e tre e la finisco) che c’erano altre cose che avrebbero meritato una storia a parte (e chi ti ha detto che non lo diventerà?), come il progetto olandese di Talent 4 Classic che trasforma piccole disabilità in grandi eccellenze. Ma alla fine della fiera, la verità vera è che quassù si viene per scambiarsi i sogni nel cassetto, i cieli in una stanza, insomma per parlare con gente che capisce quello che dici, in qualsiasi lingua del mondo. Grazie alla passione: per le quattro ruote, per le quattro chiacchiere e, perché no, per i quattro salti.
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