I vertici della Volvo possono ritenersi già soddisfatti dal primo giorno di contrattazioni sulla Borsa di Stoccolma: le azioni hanno aperto la seduta a 58,75 corone, in rialzo del 10,8% rispetto alle 53 corone del prezzo di collocamento, mentre la giornata si è chiusa con un guadagno del 23% a 65,2 corone. Il brillante debutto sgombra dunque il campo dalle speculazioni su un possibile flop legato ai risultati dell’offerta pubblica iniziale e, in particolare, alla decisione dell’azienda di fissare il prezzo definitivo al minimo della forchetta indicativa (tra 68 e, per l’appunto, 53 corone) e di tagliare il quantitativo di azioni messe a disposizione del mercato.
Quotazione ridotta. In realtà, c’è da dire che, spesso e volentieri, le aziende, anche su consiglio degli advisor, tendono a scegliere valori iniziali bassi per favorire gli ordini d’acquisto nei primi giorni di negoziazione ed evitare eventuali crolli e le conseguenti polemiche. Negli ultimi anni, sono state diverse le quotazione rivelatesi un vero e proprio flop per investitori, che hanno acquistato al massimo dei prezzi di collocamento e hanno poi subìto pesanti perdite sin dal debutto in Borsa. Nel caso della Volvo, alcuni dettagli lasciavano presagire un interesse "tiepido" da parte del mercato dei capitali. Infatti, oltre a fissare un prezzo di collocamento basso, la Casa svedese aveva rinviato di un giorno il debutto e tagliato le dimensioni dell’operazione, riducendo il quantitativo d’offerta e tagliando l’obiettivo di raccolta da 25 a 20 miliardi di corone. Inoltre, l’azionista di maggioranza, la cinese Zhejiang Geely Holding, aveva deciso di non esercitare l’opzione per aumentare la propria quota di azioni poste in vendita.
I freni. Di certo, l'entusiasmo degli investitori per qualsiasi cosa sia legata alla mobilità elettrica è stato frenato da numerosi fattori, tra cui il controllo in mani cinesi, i problemi nella catena degli approvvigionamenti affrontati dall’intero settore automobilistico e il possibile coinvolgimento della stessa Volvo in eventuali guerre commerciali tra la Cina e l’Occidente. A Göteborg si aspettavano, invece, che le strategie di rapida elettrificazione e l’addio ai motori endotermici per il 2030 potessero rappresentare un forte catalizzatore in grado di annullare qualsiasi timore. In ogni caso, la risposta è stata positiva se è vero, come affermato dai vertici aziendali, che la domanda è stata superiore all’offerta e l’operazione ha portato 200 mila nuovi azionisti. Inoltre, si è rivelato forte l’interesse di investitori istituzionali scandinavi che hanno coperto oltre il 70% dell’offerta, mentre alcuni grandi fondi pensione svedesi (AMF e Folksam), già da anni soci della Volvo, hanno confermato la loro esposizione alla Casa svedese. La quotazione, come detto, ha consentito all’azienda di Göteborg di raccogliere 20 miliardi di corone (poco più di 2 miliardi di euro), ma è possibile che nuovi introiti entrino nelle casse grazie al possibile esercizio della cosiddetta opzione "greenshoe" (permette agli emittenti di aumentare la dimensione dell’offerta per rispondere a un’eventuale domanda supplementare da parte degli investitori.) garantita dai cinesi alle banche coordinatrici. L’opzione riguarda oltre 56 milioni di azioni (il 15% dei 377,36 milioni di titoli offerti) e il suo esercizio integrale potrebbe spingere la raccolta a 23 miliardi e il flottante di mercato dal 16% al 17,9%.
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