Molti vedono nell’idrogeno la chiave di un sogno, quello del motore termico a zero emissioni. La logica è semplice: quando brucia, legandosi con l’ossigeno, il primo elemento della tavola periodica produce semplicemente acqua. La formula chimica H2O, d’altronde, la conosciamo tutti. Fra i sostenitori di questa alternativa green troviamo nientemeno che Akio Toyoda, presidente di Toyota, che ha di recente presentato la Corolla Cross H2 Concept. Il prototipo sarà spinto da una versione modificata del tre cilindri 1.6 turbo della GR Yaris, alimentato appunto a idrogeno. Ma non si fermeranno qui. È in arrivo anche un V8, sempre alimentato ad idrogeno, attualmente in fase di sviluppo in collaborazione con Yamaha. Come dire: le cose o si fanno bene, o non si fanno.
Stiamo parlando, dopotutto, di un ottimo combustibile: bruciando 1 kg di idrogeno si rilascia circa tre volte l’energia che genererebbe la combustione di 1 kg di benzina: 120 kJ contro 43,6 per chi apprezza i numeri fino in fondo. L'idrogeno è anche molto infiammabile: basta una scintilla minima per innescarlo e può bruciare in aria in un range molto ampio di concentrazioni. Tutte caratteristiche perfette se si vuole alimentare un motore a combustione interna.
Ma allora, perché sembra così difficile concretizzare il sogno del motore che emette solo acqua dallo scarico? Le sfide tecniche sono diverse: dai materiali necessari per resistere all’aggressività di questo elemento e della sua combustione, ai sistemi necessari per gestirne in maniera efficace l’iniezione e la miscelazione con l’aria. Ma una in particolare, nella sua apparente semplicità, potrebbe essere la più difficile da superare: lo spazio.
L’idrogeno è leggero, molto leggero. Ciò significa che, per averne 1 kg nel “serbatoio”, pur immagazzinandolo all’enorme pressione di 700 atmosfere, occorre un volume di 25 litri. Così, facendo le dovute proporzioni, per avere un’autonomia paragonabile a quella data da un pieno di benzina, servirebbero bombole di idrogeno della capacità di 400 litri. Difficile immaginare dove poterle sistemare, salvo voler sacrificare tutto lo spazio libero a bordo. Teniamo presente che non stiamo parlando di un comune serbatoio, ma di bombole in materiale composito, che devono resistere a una forza pari a 700 kg per ogni centimetro quadrato della loro superficie, per non trasformarsi letteralmente in bombe. Dunque, è facile intuire come i 400 litri di capacità si trasformino in un ingombro reale decisamente superiore.
Ma la colpa non è solo dell’idrogeno. Il motore termico, con la sua purtroppo limitata efficienza, ci mette del suo: dell’energia contenuta nel carburante, solo il 20-25% arriva alle ruote. La parte restante viene inesorabilmente persa in forma di calore. Finché si tratta di carburanti tradizionali, possiamo farcene una ragione: litro più, litro meno… Ma quando parliamo di una sostanza così difficile da immagazzinare, sprecarne l’80% del potenziale inizia a diventare parecchio scomodo.
E così, mentre il motore termico lotta con queste limitazioni, ecco perché la soluzione più diffusa (se di diffusione possiamo parlare visto i limitatissimi numeri) è la cella a combustibile. Toyota stessa, in effetti, ha già a listino da diversi anni un’auto ad idrogeno. Non termica, ma elettrica. Sulla Mirai, le celle a combustibile legano l’idrogeno con l’ossigeno dell’aria, attraverso una reazione mediata da catalizzatori, che produce energia elettrica. Sarà questa, poi, ad alimentare il motore, per l'appunto elettrico. Rendimento di questo sistema: 60%. Quasi il triplo rispetto a un motore termico. Ciò significa che basterà un terzo del carburante per percorrere la stessa strada.
E proprio per questo, a oggi, la maggior parte di chi sta esplorando la via dell’idrogeno, lo sta facendo con auto a fuel cell. Così, il primo elemento della tavola periodica sembra, a oggi, più promettente come sostituto delle batterie su mezzi elettrici, che come carburante per motori termici. Ma la speranza è l’ultima a morire e, diciamocelo, siamo tutti curiosi di scoprire come canta un V8 a idrogeno!
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