Non era un periodo in cui si poteva tanto scherzare, quello. La "nera", la cronaca dei fatti truculenti la faceva da padrona e le prime pagine dei quotidiani grondavano brutte notizie da ogni trafiletto. Cinquant’anni fa, nel 1973 insomma, l’Italia era un posto sconsigliato ai vacanzieri e la Roma della dolce vita si era trasformata in quella della "mala": basta ricordare il rogo di Primavalle, il sequestro di John Paul Getty III e pure l’attentato all’aereo della Pan Am, a Fiumicino (totale: 32 morti). Questo per dire che quando Rudolf Hruska (l'uomo chiave dell’Alfa di Pomigliano d’Arco) e Domenico Chirico stavano per lanciare in Campania la versione "Ti" dell'Alfa Romeo Alfasud (la berlinetta disegnata da Giorgetto Giugiaro), si trovavano in forte imbarazzo. Perché l’ultima nata era davvero una "bomba", s’intende, a livello tecnico. Con la novità, non da poco per il Biscione, della trazione anteriore.

Presentata alla stampa nel dicembre del 1973, la Ti, sigla tanto cara agli alfisti della generazione Giulia che sta per Turismo Internazionale, la si capisce solo se la si guarda con gli occhi di chi l’ha prodotta. E non di chi l’ha sognata (e comprata). Perché se no, le caratteristiche che hanno fatto dire "sì, facciamola", uno rischia di non vederle neanche. A onor del vero avrebbe anche ragione, visto che si tratta delle portiere dietro… che non ci sono. In realtà, questa soluzione che trasforma, in una semplice mossa, un’auto per famigliole in sexy coupé non è solo una manna dal cielo per i concessionari. Ma anche per chi la deve produrre, visto che costa meno. La verità è che nel 1972 una "vera" coupé della famiglia Alfasud era ancora di là da venire, e quel genio di Hruska scalpitava. Per fortuna, degli alfisti e non, era cresciuto alla Porsche e l’ottimizzazione ormai gli era entrata nel sangue. E così, al grido di "il coupé può attendere" nacque questa versione a due porte, che strizzava l’occhio ai giovani, possibilmente smanettoni.

Ma se l’Alfasud "normale" era una macchina venduta per una velocità massima di "oltre 150 km/h", per questa "berlinetta sportiva" bisognava alzare l’asticella, pardon, la lancetta, a "oltre 160 km/h". Miracolo? No, Chirico. Che cominciò con l’abbassare il coefficiente aerodinamico, per poi tirar fuori qualche cavallo in più dal quattro cilindri boxer. Ecco, allora, che sulla carrozzeria spuntano una palpebra posteriore e quel baffo anteriore, mentre il carburatore singolo lascia spazio a quello doppio. Ma a onor del vero per Chirico, la marcia in più arrivò con… una marcia in più, appunto. La quinta. Che consentì di avvicinare i rapporti e sfruttare meglio i 68 cavalli di questo che, comunque, resta pur sempre un 1200cc. La soluzione migliorò le accelerazioni con partenza da fermo, la godibilità generale e, per fortuna, anche i consumi, visto che siamo in piena crisi petrolifera (sempre per gli amanti dei numeri: a 80 km/h si risparmiano 120 giri, che diventano 180 a 150 km/h).
Ma questo è guardarsi il dito, non la luna. Che nel caso dell’Alfasud Ti è bella e piena. Quando l’auto arriva sul mercato, non si sa ancora in che categoria piazzarla. Insomma, come definirla. In Alfa dicono che "berlinetta sportiva" va benissimo (e per sapere cosa intendessero non bisogna prendere il dizionario, ma ascoltare Chirico, che lo spiega in maniera esemplare: è un’auto "ricavabile dalla produzione di massa con modesti incrementi di costo"). Ma secondo il marketing dell’Alfa Romeo del tempo, la Ti non si inventò solo un segmento del mercato. Ma fu anche un assist perfetto per la Volkswagen. Che troverà il terreno spianato per la sua prima Golf GTI. Ma questa è un’altra storia.
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