Volti scuri ieri mattina fuori l'impianto di Termini Imerese, mentre centinaia dei 1.536 lavoratori Fiat che da oggi sono in Cassa integrazione ascoltano le parole dei sindacalisti che si alternano sul palco. Hanno accompagnato l'ultima vettura prodotta, una Lancia Ypsilon uscita dalle catene alle 22:00, salutata dall'ultima sirena di fine turno, con lo sguardo mesto di chi vede svanire una vita di sacrifici con davanti a sé la certezza che difficilmente potrà trovare un nuovo lavoro.
La Fiat, occasione di riscatto. Il sindaco della cittadina siciliana, Salvatore Burrafato, raccoglie ciò che resta di quella che è stata una grande opportunità per un territorio agricolo martoriato dalla criminalità e dalla disoccupazione. La Fiat era il punto di arrivo per tanti giovani che vedevano nello stabilimento, anzi la fabbrica, come la chiamano da quelle parti, la possibilità di realizzare i piccoli sogni di un'esistenza: il lavoro, la famiglia i figli. Adesso, per coloro che in passato riuscirono a varcare i cancelli, di quel sogno resta la mobilità, anch'essa da discutere.
La storia dello stabilimento siciliano. Torniamo indietro di 41 anni, quando in quell'ormai lontano aprile 1970 si stapparono decine di bottiglie di spumante per festeggiare la prima vettura prodotta alla Sicilfiat - si chiamava così per la partecipazione della Regione Sicilia, che però duro poco: il 40% detenuto dall'ente pubblico già il novembre successivo passò interamente alla Fiat) - una 500. In due anni, dalla prima pietra posta nel 1968, fu costruito un impianto moderno e tecnologicamente tra i più avanzati: già, ma perché proprio a Termini? Perché Gianni Agnelli, l'Avvocato, era amico di Mimì La Cavera, ex presidente della Confindustria siciliana che, a partire dal 1958, si era posto come un ponte tra il mondo dell'imprenditoria e i partiti di sinistra. La politica di allora salutò con grande entusiasmo la Fiat a Termini, un'occasione per rilanciare un'area agricola e per formare una nuova classe operaia, prendendola letteralmente dalle terre, come accadde per i primi 350 addetti. La prima auto, come dicevamo, fu la 500, e poi la 126, meno bella e fortunata della progenitrice ma egualmente venduta. L'apice dell'occupazione e della produzione furono toccati con la Panda: 1.500 i dipendenti nel 1979 diventati 3.200 (più 1200 nell'indotto) appena un anno dopo, nel 1980. La prima crisi arrivò nel 1993 con la Fiat Tipo: i lavoratori diminuirono di numero e cominciò anche la cassa integrazione. Nel 2002 furono allontanati dall'azienda 233 addetti, per un totale di 1.536 dipendenti a cui si aggiungevano gli 800 dell'indotto. Il declino, senza speranze, era ormai cominciato.
La speranza DR. Adesso c'è una sola speranza: DR, il costruttore molisano che assembla le cinesi della Chery e che, in base agli accordi da confermare in un incontro previsto per il prossimo 30 novembre presso il ministero per lo Sviluppo, dovrebbe assorbire nel 2016 1.312 persone. Una trattativa, dunque, ancora aperta e che sarà chiusa solo quando la Fiat avrà concesso gli incentivi per traghettare verso la pensione 700 lavoratori di Termini.
Il ministro Fornero e il senatore Ichino. Intanto il ministro del Welfare, la torinese Elsa Fornero, sta seguendo con grande attenzione gli sviluppi della situazione: "Pur nel pieno rispetto delle autonomie il governo è pronto a offrire un contributo costruttivo per la ricomposizione della vicenda - dice Fornero – non sfugge che la parte più debole è costituita da lavoratori, che sono oggi la parte più vulnerabile del Paese, insieme ai giovani". Anche il giuslavorista, Pietro Ichino, dice la sua "Marchionne ha deciso di disdire gli accordi sindacali per farne degli altri". Ma, precisa il senatore del Pd, "spetta al sindacato valutare il merito della scelta. Alla Fiat c'è una maggioranza che approva quella scelta e non spetta alla politica intromettersi in queste questioni", spiega Ichino. Che aggiunge: "Però è inaccettabile che una parte, intenzionata a votare no, squalifichi l'altra e l'accusi di tradimento".
Il ruolo della Chery. In questa vertenza c'è tuttavia anche un altro interessato che per il momento sta a guardare: È la Chery Automobile, il partner di DR, che sta studiando la possibilità di avviare filiali controllate direttamente sui mercati di esportazione, dove oggi è presente attraverso 44 organizzazioni commerciali e industriali. E in quest'ottica, secondo quanto afferma Automotive News Europe, "Chery potrebbe utilizzare in futuro lo stabilimento ex Fiat di Termini Imerese per produrre proprie automobili". Al momento - prosegue l'articolo di Automotive - l'iniziativa è nelle mani della DR Motor, società che fa parte del Gruppo di concessionarie Di Risio, che "importa e vende veicoli cinesi in Italia come marca nazionale. Molte di queste auto - sottolinea Automotive News Europe - arrivano dalla Chery".
Il futuro della Casa cinese. Il programma messo a punto dalla Casa di Wuhu - si legge nel comunicato emesso ieri - prevede cinque punti chiave: puntare prima ai Paesi in via di sviluppo e poi a quelli sviluppati. Iniziare con l'esportazione di kit di montaggio (CKD) e passare poi ai veicoli completi. Realizzare accordi ragionevoli e poi allargarsi nell'area. Cooperare inizialmente e poi creare joint venture. Stabilirsi all'estero con filiali controllate direttamente e controllare i canali di marketing. Chery è presente commercialmente in 67 mercati e dispone, attraverso i partner, di stabilimenti di montaggio in Russia, Ucraina, Iran, Egitto, Indonesia, Thailandia, Malesia, Uruguay, Turchia e Venezuela. Nel 2010 ha prodotto complessivamente oltre 700.000 vetture.
Silvio Campione
COMMENTI([NUM]) NESSUN COMMENTO
Per eventuali chiarimenti la preghiamo di contattarci all'indirizzo web@edidomus.it