C’è stato un tempo – ormai decisamente lontano – in cui Ferdinand Piëch parlava senza sosta dell’auto definitiva. All’epoca (stiamo parlando di metà anni 80), il buon (si fa per dire) Ferdinand era il capo della tecnica all’Audi, Casa che in quel momento stava affacciandosi nel premium con una serie di prodotti di alto livello, dopo un’onesta carriera all’ombra della Volkswagen. Interrogato sul significato dell’inusuale aggettivo, rispondeva invariabilmente che lui, con “definitiva”, intendeva una macchina in grado di combinare prestazioni, doti dinamiche e capacità di carico senza imporre alcuna rinuncia. E altrettanto invariabilmente portava ad esempio la 200 Avant quattro, versione iperperformante nonché ultraversatile della 100 serie C3 (vettura che segnò l’inizio di una sfrenata attenzione per l’aerodinamica). Oggi Piëch in Audi non c’è più, limitandosi a controllare da lontano la Volkswagen dopo la rissa finita male con Winterkorn (finito male pure lui, ma questa è un’altra storia). Però le sue lezioni non sono rimaste inascoltate; e ancora oggi a Ingolstadt continuano a proporre modelli che della stirpe originaria ereditano la filosofia all-round strada+sterrato garantendo nel contempo prestazioni di vaglia. Esempio perfettamente calzante di tale categoria è la Allroad, ormai giunta alla terza generazione, derivata integrale con ambizioni tanto avventurose quanto elegantemente décontracté della A6 Avant. In questo caso, il motivo d’interesse non sta tanto nella formula conosciuta e apprezzata della giardinettona (peraltro uscita sul mercato tempo fa), quanto nel motore, che allo stato dell’arte (fatta salva l’unità annunciata per la nuova Panamera e non ancora provata) rappresenta quanto di meglio possa offrire la tecnologia diesel.
3.0 TDI. Si tratta di un sei cilindri di tre litri che, grazie ai due turbo, riesce a spingere fuori qualcosa come 320 CV a soli 3.900 giri. Sotto il piede destro, dunque, alligna una potenza specifica ben superiore ai 100 CV/litro, che – unita alla coppia monstre di 650 Nm – ha reso necessario il ricorso a un classico automatico con convertitore a otto marce (le altre tremila hanno il doppia frizione a sette marce, che probabilmente non avrebbe retto a tanta cavalleria). Ora, so bene che il diesel sconta un pregiudizio montante, peraltro scatenato da uno scandalo tutto interno proprio alla galassia VW. Però c’è poco da girarci attorno: qui siamo di fronte a una realizzazione obiettivamente d’eccellenza, caratterizzata da una risposta ai comandi tanto istantanea quanto brutale, con in più l’accompagnamento di una colonna sonora di grande coinvolgimento (c’è una valvola che apre e chiude lo scarico).
Come va. Una tale veemenza, su strada, ha come conseguenza medie sorprendenti, anche perché la silenziosità regna nell’abitacolo, impedendo di realizzare la reale velocità. Ovviamente, di station potenti ce ne sono parecchie; a distinguere la Allroad sono il consumo e le doti off-road. Quanto al primo, ricordo di aver guidato ben poche macchine da 106 CV/litro (o da 5,6 secondi nello zerocento, dato dichiarato) in grado di percorrere sempre e comunque oltre i 10 km con un litro. Quanto al resto, la Allroad offre la possibilità di regolare l’altezza da terra per superare i passaggi più difficili. Non stiamo parlando di una Land Cruiser, di una Defender o di una Wrangler, visto che la regolazione massima consentita dalle sospensioni pneumatiche è di 35 mm (più 10 mm a bassissime andature, ma a quel punto la macchina sembra arrampicata sui trampoli); però la mobilità offerta è pressoché totale, a patto di adottare la gommatura corretta (cosa che ancora troppe persone sottovalutano). Da guidare, la grande Audi non è e neppure vuole essere una GT, nonostante le performance che la accrediterebbero di diritto nella categoria: nel misto, rimane la tipica, leggera sensazione di imprecisione dovuta al servosterzo elettrico, che dà indicazioni sommarie sulla traiettoria (ovviamente, contribuisce in questo il baricentro più elevato rispetto al normale). Detto ciò, l’efficacia dinamica rimane ad alti livelli. Come del resto l’esperienza interna. Conosco bene l’idiosincrasia di alcuni utenti del sito verso i nostri giudizi sugli abitacoli Audi; però rimane un dato di fatto che dal punto di vista qualitativo i modelli di Ingolstadt rappresentino un benchmark per la categoria.
Il tutto, sia chiaro, si paga. Il listino dell’Allroad 320 CV (del tre litri ci sono anche le versioni da 190, 218 e 272 CV) parte da 69.000 euro. A questo vanno aggiunti gli optional, che sono tantissimi e costosi. Il nostro esemplare, per citare le dotazioni più care, aveva l’impianto audio Bang & Olufsen da 7.215 euro e i cerchi di lega a cinque razze da 3.565 euro; aggiungendo qualche altra stupidaggine (sedili in pelle Valcona da 2.835 euro, tetto panoramico da 1.895 euro, proiettori a Led da 2.560 euro eccetera eccetera) si raggiungono senza problemi cifre che definire impegnative è eufemistico. Certo, con un’auto del genere si può tranquillamente rinunciare alle seconde e terze macchine (dando per scontato che chi ha mezzi di solito si offre più opzioni); ma comunque stiamo parlando di un investimento non banale. Siamo comunque certi che Ferdinand Piëch approverebbe senza riserve la natura e la funzione della Allroad.
Gian Luca Pellegrini
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