Con una Rolls-Royce Phantom vale la pena di partire dalla guida autonoma. Quella che a Goodwood hanno inventato prima di tutti, quella che di elettronico ha poco, quella che fa la differenza tra un'auto con lo Spirit of Ecstasy sul cofano e il resto del mondo. Ovvero un sano autista, perfetto complemento (anche d’arredo, se vogliamo) per questa Rolls-Royce e involontario superamento ante litteram di qualunque catalogazione Sae in materia appunto di autonomous drive. La compassata e silente presenza dello chauffeur mi permette di cominciare il test drive in una maniera inusuale. Sono infatti mollemente spiaggiato sul divano posteriore della nuova generazione della Phantom, anagraficamente l’ottava. E vale la pena di sottolineare che le sette antenate non sono scese tra i comuni mortali una di fila all'altra: tra una storia e l'altra, questo nome ha sulle spalle quasi un secolo di storia, ché la prima risale addirittura agli anni venti del secolo (e del millennio) passato.
Il cielo sopra Goodwood. Qualcosa che non è soltanto l’incarnazione suprema di ciò che la Rolls-Royce rappresenta indefettibilmente da 112 anni. La Phantom (la settima, quella che esce di scena ora) è stata anche il modello che tre lustri addietro ha rilanciato il marchio: si tratta infatti del primo modello nato in epoca BMW. E oggi, nascosta da uno stile che ripercorre e aggiorna tutto ciò che su una Rolls è semplicemente immancabile, c’è una piattaforma completamente inedita. Realizzata d’alluminio, sarà la base per tutti i modelli futuri di Goodwood, a cominciare dalla sport utility, quella Cullinan che, tra non molto tempo, farà fare alla Casa inglese un balzo nel presente. Per attenerci a notizie che solitamente attengono alle comuni rottamabili, il telaio della Phantom è stato reso più rigido del 30%, con quadrilateri all’avantreno e multilink al retrotreno. Quest’ultimo prevede anche le ruote sterzanti, pensate più nell’ottica della stabilità alle alte velocità piuttosto che per una maneggevolezza incompatibile con i sei metri (5,98, per essere precisi) della versione a passo lungo che sto guidando. Il quadro è poi completato dalle immancabili sospensioni pneumatiche, che stavolta sono sorvegliate, per così dire, da una telecamera. Quest'ultima si incarica di osservare la strada, riconoscere eventuali sconnessioni e rendere l'assetto più morbido nel momento in cui la ruota e la buca s'incontrano. C'è poco da dire: il confort è principesco e, a tratti, il retropensiero è di aver esagerato ogni volta che hai dato cinque stelle in confort a una qualunque altra macchina. Anche perché il merito non è soltanto delle sospensioni e del magic carpet ride tanto caro ai tecnici di Goodwood: già che c'erano, hanno spalmato in giro per la Phantom ben 130 kg di materiali fonoassorbenti. E il risultato si sente, anzi non si sente: il motore è sempre un sussurro e, nonostante l'aerodinamica prometta di essere quella di un armadio, pure il corpo vettura non si lascia sfuggire troppi decibel. Risultato pratico: a 240 orari di tachimetro (sante autobahn nei dintorni di Monaco) si conversa come nel salotto di casa. Servisse altro a definire il confort, c’è la lussuosità dei materiali e delle soluzioni. In certi dettagli hanno superato se stessi, com’è il caso dell'enorme vetro che copre a tutta larghezza la plancia; il resto, è un trionfo di pelle e metallo cromato. D’altra parte, a guardare nel passato, c’è solo l’imbarazzo della scelta, in questo senso. Alla fine, più che essere seduti, la sensazione è quasi di un abbraccio che ti sommerge, pure ai posti anteriori, che hanno il difetto di rendere meno immersiva l’experience del tetto. Quello che un tempo si chiamava imperiale, a richiesta, è infatti costellato di piccolissimi led che danno la sensazione del cielo stellato. Volendo, potete chiedere qualunque composizione (non necessariamente astronomica, va bene pure il nome della fidanzata), ma, se non date indicazioni diverse, di base riprodurrà il cielo sopra Goodwood nel primo minuto del 1 gennaio 2003. Il momento della rinascita, come si diceva prima.

Ora è biturbo. La regolarità di funzionamento dei motori Rolls è proverbiale e non è questa la volta in cui le tradizioni smettono di essere rispettate. La cilindrata è quella di sempre (6,75 litri, si potessero usare le parolacce la si potrebbe definire iconica), ma gli uomini della Casa inglese garantiscono che si tratta di un V12 radicalmente nuovo. L'aspirato di un tempo ha ceduto il cofano a un pari frazionato biturbo. I tempi in cui a Goodwood, con un certo sussiego, dichiaravano che la potenza era semplicemente “adeguata” sono lontani. Ora i numeri sono precisi: 571 cavalli e 900 Newtonmetro, perfettamente gestiti dal cambio a otto marce. Un automatico che più automatico non si può: non c’è traccia di paddle al volante, né è possibile in alcun modo scegliere le marce. Chi guida ha a disposizione solo la D, la N e la R. Al resto pensa l’elettronica, che per gestire al meglio i cambi marcia si aiuta anche con la cartografia del Gps. Il dodici cilindri ha tutta l'energia che serve per muovere con rapidità (e a qualunque andatura) un corpo vettura che è semplicemente monumentale, ma questo non strappa la Phantom alla sua natura primaria di salotto perfetto per scivolare serenamente da una curva all'altra. Giudizio al quale concorre anche lo sterzo, la cui lentezza un po' vintage riporta alla memoria la guida di qualche decennio fa: una letargia che, a tratti, sembrerebbe persino mettere in discussione la precisione del comando, che in realtà però non manca. Meglio dare ascolto a tutti questi segnali: altrimenti, appena si comincia a forzare l'andatura quando la strada non è dritta, l’assetto con barre attive gestisce tutto molto bene sotto il profilo della sicurezza, ma al contempo mostra grande fermezza nel convincere chi guida che non vale la pena di intestardirsi. Inutile cercare ciò che in fondo non è il caso di cercare: lei è una regina.
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