No, non è autosuggestione: la "XKR" ruggisce. Basta smettere di accarezzare l'acceleratore, dare sfogo al suo "otto vù" e, dal cofano, cominciano a provenire note rabbiose che, per tonalità e consistenza, ricordano davvero un ruggito. È vero, il paragone non brilla per originalità (tanto più nel caso di una Jaguar) ma, una volta tanto, ha il pregio di calzare a pennello. A volerla dire tutta, poi, la coupettona inglese, qualcosa di felino, ce l?ha anche quando si va a spasso. La "XKR" incede sinuosa, felpata e quasi fa dimenticare ciò di cui è capace quando s'affonda il piede destro. D'altra parte, non bisogna farsi fuorviare dai 416 CV che si agitano sotto il cofano: questa "R" sarà pure la più dinamica tra le Jaguar, ma non è certo una sportiva vera e propria. Seppure di elevatissime prestazioni, è e rimane una Gran Turismo.

A bordo l'atmosfera è quella di sempre: l'impostazione generale, le forme, i materiali sono quelli che ci si aspetta da una Jaguar, anche se alcuni dettagli di finitura non sono esattamente all'altezza di un'auto per la quale bisogna mettere in conto di staccare un assegno da 100.000 euro, accessori esclusi. Ci si può consolare con una comodità di marcia di tutto rispetto, alla quale dà un solido contributo il C.A.T.S., ovvero la gestione elettronica degli ammortizzatori: quando serve, l'assetto diventa piatto e il rollio s'annulla, ma si possono affrontare le sconnessioni che si trovano quotidianamente sulle strade senza dover prenotare una visita dal fisioterapista. La "XKR", insomma, è una vettura dalla quale si scende non troppo stanchi neppure dopo un Milano-Parigi in un'unica tirata. Un viaggio da affrontare in due, beninteso, perché i posti posteriori, nella migliore delle ipotesi, sono adatti per un paio di bambini di non più di sette o otto anni.

Con la "XKR", la sensazione di guidare un'auto molto muscolosa è evidente a tutti i regimi. Basta soltanto che la lancetta del contagiri si scosti dal minimo per avvertire, netti, i benefici effetti del "volumetrico", che spinge subito, senza ritardi o incertezze. E anzi, asseconda in maniera perfetta la natura più intima del "V8", un "motorone" dal sapore vagamente americano, traboccante di coppia ai regimi intermedi più che incontenibile nel raggiungere la zona rossa. Il cambio, come si dice in gergo, gli "sta dietro" perfettamente: è un "sei marce" automatico di ultima generazione, che unisce la morbidezza comune a tutti gli automatici con una velocità di cambiata che non fa rimpiangere molti "robotizzati". Grazie anche ai paddle sul volante, si rivela ottimo pure quando si comincia ad alzare il ritmo e, per percepirne con chiarezza i limiti, bisogna mettere le ruote in pista.

Rispetto alla "aspirata", anche il comparto freni ha ricevuto una sostanziosa rivisitazione, con l'adozione, davanti, di dischi da ben 355 millimetri (anziché 326). All'atto pratico, però, non abbiamo notato miglioramenti di sorta: identica e irreprensibile resistenza alla fatica, ma spazi d'arresto leggermente sottotono. La "XKR" meriterebbe un po' di mordente in più.