Le capitali europee torneranno a ripopolarsi di bubble car? La risposta potrebbe essere positiva, considerati i numeri della Citroën Ami: 23 mila pezzi in totale nel giro di due anni. Al pari della sua "gemella diversa" Opel Rocks-E, la Ami è un quadriciclo elettrico ispirato alle microvetture che si diffusero negli anni 50. Il soprannome "bubble", a bolla, derivava dalla forma dell'abitacolo, ispirato alle carlinghe dei bombardieri. Non a caso le costruivano Messerschmitt e Heinkel, costrette a riconvertire la produzione aeronautica. La BMW preferì acquistare la licenza - e in seguito la proprietà - dell'italianissima Isetta, costruita a Bresso dalla IsoRivolta. Ora la staffetta italo-tedesca si ripropone in chiave elettrica con la Microlino e la Evetta.
Ora è elettrica. La prima è nata e costruita a Torino, ma esibisce il doppio passaporto italiano ed elvetico: la società che la produce, la Micro Mobility Systems, ha sede sulla riva del lago di Zurigo. È stata lanciata con il claim "this is not a car!", perché unisce i vantaggi delle due ruote alla protezione della microcar. Nonostante la forma a goccia sia parente strettissima della Isetta, il design è attuale e vagamente "Robocop". Tutto il contrario per la Evetta della startup tedesca ElectricBrands, che pesca a piene mani dal citazionismo del modello originario. A cominciare dal nome, la Evetta sembra un'Isetta a batteria: probabilmente la chiave giusta per pescare nella memoria collettiva dei tedeschi.
Via di mezzo. È curioso, ma significativo che la piccola Iso sia presa a riferimento per movimentare il paesaggio urbano prossimo venturo. In fondo, le bubble car sono creature buffe, da cartoni animati. Eppure, ai tempi in cui la micromobilità urbana si faceva prima a farla che a pensarla e il "green" era ancora il manto erboso del golf, a fare la differenza erano le intuizioni vincenti. Idee spesso nate dalla necessità, pura arte di arrangiarsi, ma insomma: c'erano dei Paesi da rimettere in movimento. E in questo, le bubble car come la Isetta trovavano spazio fra lo scooter carenato di scuola italiana e l'utilitaria: economica, ma ancora indisponibile per larghi strati della popolazione.
Scolpita dal vento. Nel 1952 Renzo Rivolta promosse il prototipo preparato dall'ingegner Ermenegildo Preti, già progettista aeronautico. Come la Vespa e le altre microcar anni 50, la Isetta veniva dall'aria e poteva offrire un po' di comodità, protezione e costi di gestione affrontabili. Con diverse soluzioni tecniche insolite e geniali. Per esempio, l'accesso avveniva attraverso il portellone frontale che aveva il piantone di sterzo solidale. Che s'inclinava in avanti per agevolare ulteriormente l'ingresso. Il divanetto ospitava due persone, mentre il gruppo motore (Isomoto 200) e trasmissione era tutto dietro. Nonostante le dimensioni contenute, la visibilità era eccellente grazie all'ampia vetratura, frutto della consulenza di Giovanni Michelotti.
Da Ginevra a Monaco. Nessuno è profeta in patria: da noi, stretta com'era fra la Vespa, la Lambretta e la Fiat 500 C, la Isetta stentò a decollare, anche per il prezzo elevato. Così Rivolta ricorse al franchising internazionale. In Germania se l'aggiudicò la BMW, che in gamma non aveva utilitarie. Sempre passando dalla Svizzera, o meglio dall'importatore elvetico, che l'aveva pizzicata al Salone di Ginevra. La microcar rinacque a nuova vita nell'aprile del 1955 con la sigla 250 (ma in tanti continuarono a soprannominarla Isetta) e un nuovo motore quattro tempi sempre derivato dalle moto (in questo caso dalla BMW R25/3) e realizzato a Monaco. In più, con alcune migliorie come le sospensioni a molle elicoidali e il riscaldamento, essenziale a quelle latitudini. E fu un successo: ne vendettero 160 mila unità, anche in versione 300. Oggi sono in molti a sostenere che quella piccola, geniale italiana diede alla Casa bavarese l'ossigeno necessario per imboccare la Neue Klasse.
"Troppo avanti per l'Italia". I tedeschi non sono gli unici a conservare un affettuoso ricordo della Isetta. A fare compagnia alle Aston Martin Vanquish, IsoRivolta GTZ, e Porsche "sanction lost", nello showroom Zagato c'è anche una coppia di Isetta. Appartengono a Mariella Rivolta Zagato, titolare del marchio Iso Rivolta e sono legate al ricordo del nonno Renzo: "Se l'Isetta non ebbe successo in Italia, è perché era troppo avanti. È un mezzo pragmatico con una vena romantica, una Smart con più classe. Anche oggi suscita empatia, senso di eleganza e praticità. Con il giusto volume: oggi in città occorrono le cose piccole". Da notare che Zagato realizzò la sua microcar elettrica, la Mini Van, nel lontano 1981. Se si chiede alla signora Rivolta come la farebbe lei, la nuova Isetta, la risposta può sorprendere solo in apparenza: "Prima di tutto l'avrei fatta più bella, ma il passato è passato. Conosco abbastanza bene il progetto Microlino, che ha reinterpretato meglio l'idea originale. Dal punto della strategia imprenditoriale, avrei scelto anch'io questa direzione, che può evolversi nel futuro. L'Evetta è un po' troppo retrò e punta al subito. Nasce e muore in un numero limitato. Soprattutto si è appropriata di una storia altrui. Non è autentica: e per essere apprezzato, oggi un prodotto deve avere una storia vera alle spalle". E voi cosa scegliereste, Evetta o Microlino?
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