La Dongfeng Motor ha collocato sul mercato parte della sua quota di azioni Stellantis ancora in portafoglio. In particolare, la società statale cinese ha ceduto, tramite un’operazione di bookbuilding accelerato gestita dalla banca francese BNP Paribas, 36,1 milioni di titoli del costruttore euro-americano al prezzo di 16,65 euro, incassando circa 600 milioni di euro. Nel complesso, sul mercato è stato ceduto l’1,15% del capitale e pertanto la Dongfeng è scesa dal 5,65% al 4,5%.
I termini della transazione. La vendita delle azioni non era del tutto inattesa, visto che era prevista esplicitamente dagli accordi di fusione: il ridimensionamento della presenza cinese nell’azionariato era infatti una delle condizioni chieste dalle autorità americane per concedere il via libera all'unione tra Fiat Chrysler e PSA. A sorprendere sono più che altro i tempi, considerando che per la cessione era stata fissata la scadenza del 31 dicembre 2022. Inoltre, i cinesi avrebbero avuto la possibilità di ottenere un maggior incasso, magari aspettando la presentazione del nuovo piano industriale o un miglioramento delle attuali condizioni del mercato, che per il comparto automobilistico non sono particolarmente favorevoli a causa delle ripercussioni della crisi dei chip. Per tutti questi motivi, circola già l’ipotesi che la cessione non sia altro che il preludio di un progressivo ridimensionamento della presenza cinese nell’azionariato di Stellantis, se non di un'uscita integrale dal capitale, come si vocifera ormai da tempo. Per avere conferme in tal senso bisognerà comunque aspettare i prossimi mesi, anche perché l’azienda cinese ha concordato con gli intermediari un periodo di lock-up di 90 giorni: in pratica per tre mesi non potrà vendere altre azioni. In ogni caso non va dimenticato quanto sta avvenendo in Cina ai massimi livelli istituzionali: Pechino ha dato una svolta alla sua politica economica, aumentando il controllo sulle società - sia statali che private - e limitando di molto la libertà di movimento delle imprese, soprattutto sui mercati esteri, per evitare fughe di capitali e ridurre la loro indipendenza rispetto al potere centrale. Inoltre alle aziende cinesi è stata imposta una forzata riduzione dell’esposizione debitoria e alle banche minor spazio di manovra nell’erogazione di crediti.
Mistero sull’acquirente. Per i cinesi la cessione comporta comunque un corposo rendimento rispetto all’investimento originario. La Dongfeng è entrata nel capitale di PSA nel 2014, in occasione di un intervento orchestrato dallo Stato francese per salvare dal fallimento il costruttore transalpino: all’epoca, l’azienda cinese ottenne il 14% del capitale investendo 800 milioni di euro in una ricapitalizzazione che portò la Francia a rilevare un'analoga partecipazione e la famiglia Peugeot a perdere il controllo del costruttore transalpino. Dell’operazione sono stati rivelati solo i termini finanziari, mentre, come da prassi in simili transazioni, non sono stati forniti dettagli sugli acquirenti. Sul mercato circola l’ipotesi che ad acquistare siano stati proprio i Peugeot, in forza di quanto pattuito per la fusione con la Fiat Chrysler. La famiglia transalpina, tra i grandi azionisti interessati dall’integrazione (oltre ai Peugeot e alla Dongfeng figurano la Exor della famiglia Agnelli e la banca statale transalpina BpiFrance), è l’unica ad aver ottenuto il diritto di acquistare azioni sul mercato o dagli altri soci rilevanti e di incrementare la propria partecipazione fino all’8,7% del capitale. Interpellati da diverse testate transalpine, i Peugeot hanno preferito trincerarsi dietro a un lapidario "no comment" che, di certo, non spegne le speculazioni del mercato borsistico.
Tavares in Italia. In ogni caso si tratta di movimenti ai piani alti che interessano più la finanza che gli aspetti industriali di un gruppo alle prese non solo con la definizione del piano industriale e le ripercussioni della crisi dei semiconduttori, ma anche con una crescente agitazione tra i sindacati e i lavoratori, soprattutto in Italia. Le continue sospensioni delle attività produttive negli stabilimenti, l’assenza di certezze sulle future assegnazioni dei modelli e alcune scelte sul fronte della gestione degli operai in somministrazione stanno aumentando il rischio di un prossimo sciopero. D’altro canto, i sindacati non ritengono sufficienti le ampie rassicurazioni fornite dall’amministratore delegato Carlos Tavares in occasione delle visite agli impianti italiani organizzate subito dopo il perfezionamento della fusione. L’ultima è proprio di questi giorni: il dirigente portoghese si è recato nei due stabilimenti che ancora mancavano al suo tour, ossia Atessa e Pomigliano. In entrambi i casi ha incontrato il management e le Rsa, per poi ribadire che l’intenzione del gruppo non è quella di ridurre la capacità produttiva, anzi: l'obiettivo è procedere con ulteriori investimenti per migliorare efficienza e produttività. Tavares non ha comunque risposto alle richieste dei sindacati sulle nuove produzioni, rinviando la questione alla presentazione del piano industriale: per Atessa ha smentito categoricamente le ipotesi lanciate da alcuni sindacalisti su un ridimensionamento delle attività e un loro trasferimento in Polonia, mentre per Pomigliano si sarebbe limitato esclusivamente a confermare l’avvio dell’assemblaggio dell’Alfa Romeo Tonale verso marzo dell’anno prossimo e non avrebbe fornito alcuna indicazione sul futuro della Panda.
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