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Best of 2022
Il grande flop degli ecoincentivi

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 Se la transizione energetica ed ecologica si dovrà fare (e si dovrà fare, anche se probabilmente con tempi diversi e più lunghi di quelli finora ipotizzati), è necessario accelerarla con iniezioni di denaro pubblico che aiutino i cittadini a sostenerne il costo. È questa la logica che, non solo in Italia, da parecchio tempo sta alla base dello stanziamento di fondi statali per incentivare lo svecchiamento del parco circolante e la sua sostituzione con modelli meno inquinanti, ma, inevitabilmente, più costosi. Elettriche e ibride plug-in hanno infatti ancora listini di gran lunga superiori a quelli delle vetture dotate dei tradizionali sistemi di propulsione endotermici ed è difficile, senza “aiutini” statali, che riescano a raggiungere livelli di penetrazione significativi, almeno su mercati come quelli italiano e dell’Europa del Sud. Dunque, anche il 2022 ha visto i nostri governi impegnarsi a reperire i fondi necessari a questa transizione. Ma non è stato un percorso indolore; e, quel che è peggio, i risultati sono stati di gran lunga inferiori alle attese.

Il cammino. Annunciati il 18 febbraio dal governo di Mario Draghi, gli incentivi vengono infatti disposti l'1 marzo con un decreto legge che stanzia 700 milioni di euro per il 2022 e un miliardo di euro l’anno per il periodo compreso tra il 2023 e il 2030. Serve, però, uno specifico Dpcm che ne disciplini l’erogazione, la cui pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale si fa attendere fino al 16 maggio. Dopo altre nove giorni, il 25 maggio (quando ormai sono passati oltre tre mesi dall’annuncio di Draghi, periodo in cui il mercato ristagna nell’attesa dell’entrata in vigore del provvedimento) è finalmente attivata la piattaforma per l’erogazione dei bonus, suddivisi in tre fasce di emissioni di CO2: da 0 a 20 g/km, cioè le auto elettriche; da 21 a 60 g/km, le ibride plug-in; da 61 a 135 g/km, le mild hybrid e qualche diesel paticolarmente parco nei consumi. La ripartizione dei fondi prevede lo stanziamento di 220 milioni di euro per la prima fascia, 225 milioni per la seconda, 170 per la terza: questi ultimi, pur imponendo la rottamazione obbligatoria di un’auto più vecchia, vengono esauriti il 13 giugno. Spariscono, cioè, nel giro di una ventina di giorni. Naturale: si applicano ai modelli più venduti sul mercato, meno costosi e facilmente utilizzabili. Quelli destinati a EV e Phev, invece, restano al palo.

Le modifiche. Il governo, anche per la spinta delle associazioni del settore, si rende conto che qualcosa non funziona e, in estate, inizia a ragionare sull’introduzione di correttivi al provvedimento. Che arrivano il 4 agosto, sempre con un Dpcm a firma di Draghi che introduce un incremento del 50% dell’ecobonus per chi dispone di un reddito Isee inferiore a 30 mila euro e, soprattutto, pone fine a un errore strategico, estendendo l’accesso agli incentivi al noleggio a lungo termine, settore più interessato al rinnovamento delle flotte. Un’altra novità riguarda lo stanziamento di 40 milioni di euro a favore dell’installazione di wallbox per la ricarica: il contributo è di 1.500 euro per i privati e di un massimo di 8.000 euro per le colonnine condominiali.

Il flop. Le modifiche introdotte funzionano? Poco e male. Innanzitutto, perché, nonostante siano state annunciate in piena estate, bisogna aspettare il 4 ottobre prima che il decreto sia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e addirittura il 2 novembre perché la piattaforma per la prenotazione degli incentivi venga modificata. A dicembre inoltrato, invece, nulla ancora si sa sulle modalità di erogazione del contributo per le colonnine di ricarica. Il risultato è che, a oggi, risultano ancora disponibili sul sito ecobonus.mise.gov.it 129 milioni di euro per le auto elettriche e 149 milioni per le plug-in. Soldi non spesi, destinati a modelli che pochi vogliono, come dimostra il calo delle immatricolazioni di EV e Phev registrato negli ultimi mesi. Un flop annunciato perché, per mille motivi, il mercato italiano non è ancora pronto per la svolta verso la mobilità elettrica.

E ora? Che fine farà tutto questo denaro pubblico inutilizzato? Al momento, non è dato saperlo. Anche perché il meccanismo varato prevede comunque una nuova dotazione di risorse già stanziate per il 2023 e così ripartite: 230 milioni di euro per la fascia 0-20 g/km, 235 milioni per quella 21-60 g/km, 150 milioni per quella 61-135 g/km. Gli importi erogati saranno sempre di 3 mila euro (5 mila con rottamazione) per la prima fascia, 2 mila (4 mila con rottamazione) per la seconda, 2 mila solo a fronte di rottamazione per la terza. Il tutto con limiti di prezzo per le auto acquistate rispettivamente di 35 mila, 45 mila e 35 mila euro (importi Iva esclusa). Non sarebbe più prevista, invece, la maggiorazione per i redditi inferiori ai 30 mila euro. Persevereremo, dunque, con una politica d’incentivazione che si è rivelata sbagliata? Le associazioni di categoria protestano e chiedono modifiche, i consumatori snobbano fondi pubblici destinati ad auto che non vogliono, le risorse stanziate restano in gran parte inutilizzate. Il nuovo governo, guidato da Giorgia Meloni, chiiuderà gli occhi davanti a un quadro così evidente? O interverrà modificando un provvedimento che si è rivelato sbagliato e inutile ai fini di un vero svecchiamento del parco circolante? Lo capiremo solo nei prossimi mesi.

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