"Abbiamo le tecnologie per sfidare la Volkswagen sull’elettrico e la Toyota sull’ibrido". La seconda avventura di Luca De Meo a Boulogne-Billancourt, quartier generale della Renault, è animata da una positiva consapevolezza del potenziale del gruppo francese, definito "sorprendentemente moderno su tanti temi legati al futuro". Nel corso di una tavola rotonda con i giornalisti, il neo amministratore delegato della Losanga (ed ex numero uno della Seat) guarda con un certo ottimismo al futuro, anche se ha ammesso che il rilancio della Régie non sarà semplice, né immediato: "Ci vorranno mesi, se non anni, per rimettere la Renault sui binari". Il contesto economico non è facile e c’è un rapporto con l’emisfero giapponese dell’Alleanza da far funzionare a dovere: "La performance economico-finanziaria dell’azienda non è buona", ha ammesso il manager italiano. "Nel primo semestre del 2020 abbiamo perso 7 miliardi e 300 milioni di euro: di questi, 4,5 dipendono da questioni legate all’Alleanza". Durante l'incontro non sono mancati altri temi interessanti, dal rilancio del marchio Alpine alle strategie sull’elettrificazione, passando per il rapporto con il principale alleato, la Nissan: ecco il resoconto nei dettagli.

L'Alpine diventerà una piccola Ferrari?
Per un italiano come me, il Cavallino Rampante è un riferimento obbligato. Al mio arrivo alla Renault mi sono reso conto che ci sono quattro realtà nell’azienda (la squadra di F1, un'unità di ingegneria da sempre sofisticata a livello tecnico, la fabbrica di Dieppe, molto specializzata e flessibile, e una marca storica, l'Alpine, che in Francia rappresenta la tradizione della macchina sportiva) con un potenziale da sfruttare. Ognuno di questi quattro elementi veniva considerato dall’azienda unicamente come un centro di costo: io ho visto la possibilità di metterli insieme, di costruire un business di marca intorno alla Formula 1 attraverso il brand Alpine e di dare a Cyril Abiteboul (direttore del team di Renault F1, ndr), che nomineremo ceo, il compito di portare questo sistema a break even nel giro di tre o quattro anni. È una scommessa, ma abbiamo in mano degli ingredienti di qualità.
Ghosn ha detto che lasciarsi scappare l’opportunità della fusione con FCA è stato un errore madornale. Sul tema del consolidamento e dello schema delle alleanze, la Renault ha un problema di taglia, di distribuzione geografica e di sinergie per tagliare i costi, oppure l’Alleanza con Nissan e Mitsubishi è sufficiente per affrontare le sfide future?
A volte si tende a semplificare troppo il valore della taglia. Dovessimo immaginare una correlazione diretta tra la taglia e la profittabilità di un’azienda automobilistica, ci renderemmo conto che non c’è. L’Alleanza lavora su una taglia che è più che sufficiente: l’ultima cosa che mi verrebbe in mente è di lavorare per rompere questo matrimonio. Ci stiamo impegnando a rafforzare l’Alleanza perché ne vediamo chiaro il vantaggio. Abbiamo ottimizzato gli acquisti del gruppo, ora dobbiamo lavorare sull’ingegneria, sulla condivisione delle piattaforme, delle batterie e delle architetture. Non abbiamo un problema di taglia, piuttosto quello di riattivare l’Alleanza su progetti concreti. E questo sta già accadendo: per esempio ci stiamo mettendo d’accordo su come mettere a fattor comune le batterie. Ma ci sono altri progetti e tra poco ne vedrete i risultati. Sulla complementarietà geografica, è evidente che la Nissan occupa mercati in cui la Renault non è molto presente, e viceversa. Ciascuna delle due aziende deve concentrarsi sui mercati in cui ha perso velocità: nel nostro caso l’Europa e il Sudamerica, per Nissan la Cina e gli Usa.

L’Alleanza, senza più Infiniti, in Europa resta scoperta nel segmento premium: che cosa è previsto in questo campo? E sul fronte opposto, quale ruolo assumerà la Dacia all’interno del gruppo?
Partiamo dalla Dacia: le sue performance sono impressionanti e l’azienda rappresenta sicuramente uno dei nostri asset. Non ho mai visto nulla del genere: un marchio capace di offrire prodotti accessibili e allo stesso tempo di fare soldi. Sto cercando di fare in modo che la Dacia possa mettere le ali e iniziare a volare da sola, presentandosi non come una sottomarca della Renault, ma come un brand a tutto tondo, che avrà la libertà di occupare mercati e segmenti in cui prima era limitata dalla presenza della Renault. Per quanto riguarda invece l’alto di gamma, la storia della Renault, che conosco bene, è costellata di tentativi di puntare in questa direzione, per esempio per fare vetture di segmento E e cercare di fare concorrenza ai tedeschi. Tentativi, purtroppo, falliti miseramente. Noi facciamo il 70% dei volumi tra il segmento A e B, nei quali, nei prossimi anni, sarà difficile realizzare dei margini per la questione delle emissioni e per i costi che dovremo affrontare nello sviluppo di queste vetture. La via di uscita è dell’alto: dobbiamo riposizionarci nel segmento C e C plus, che è il cuore del mercato europeo. Quello è il posto della Renault. Tutte le decisioni prese ultimamente sul piano prodotto, che ho completamente cambiato, perseguono l’obiettivo di salire di un gradino. Ma allo stesso tempo di non fare un passo troppo lungo, andando a sbattere il muso come abbiamo fatto in passato.
La discussione ha toccato anche il tema del car sharing e dei servizi di mobilità, che porteranno, ha anticipato De Meo, a una nuova generazione della Twizy.
Stiamo creando un’unità per lo sviluppo di prodotti specifici per le piattaforme di mobilità. Tra i progetti c’è la creazione di una seconda generazione della Twizy: diversa, più sofisticata e capace di colmare alcuni difetti del prodotto originario. Possiamo, come Renault, sviluppare dei prodotti fatti apposta per le piattaforme di mobilità, in termini di costi e di prezzo. Oggi, si sa, poche realtà in questo campo sono redditizie: uno dei motivi è che sfruttano veicoli non pensati per l’uso che ne viene fatto.
Come detto in precedenza, molte delle perdite della Renault dipendono dall’Alleanza: che cosa serve per ripartire?
Anzitutto, sia la Renault, sia la Nissan devono tornare ad avere buone performance. Poi bisogna trovare quattro o cinque grossi progetti su cui unire le forze e riuscire a fare la differenza: ne stiamo discutendo e stiamo cercando di avere un approccio più costruttivo. In questo è fondamentale il lavoro di Jean-Dominique Senard, che è il trait d’union tra i due mondi del sodalizio.

Come riuscirà il gruppo Renault a far quadrare i conti sull’elettrico?
Con la Dacia Spring siamo partiti da una base, quella della Kwid, che ci ha agevolato permettendoci di proporre una vettura piuttosto essenziale, ma che svolge la propria funzione e che sarà veramente accessibile. Con Spring, Twingo e Zoe copriamo la parte bassa della gamma. La nuova piattaforma di segmento C, appena presentata, ha invece la flessibilità per essere declinata su vetture che vanno dai 4,20 ai 4,70 metri, con autonomie da 450 a 550 km. Il prossimo passo, dunque, sarà collocare l’elettrico nel cuore del mercato europeo. Successivamente dovremo creare una nuova generazione di veicoli elettrici compatti, posizionati al di sotto della Mégane e-Vision, che sia competitiva grazie alle nuove tecnologie. Le leve per riuscire a ridurre i costi dell’elettrico sono i volumi e la progressiva regressione dei costi delle batterie, che è già in atto.
Citycar: molti costruttori le stanno abbandonando. Renault, invece, rilancia?
In quest’ambito bisogna fare una distinzione tra i segmenti A e B, e tra l’elettrico puro e le vetture endotermiche, anche ibride. I limiti sulle emissioni sono molto più penalizzanti per le piccole: è più facile inserire tecnologie su una vettura destinata a un cliente disposto a spendere, e quindi orientato su segmenti superiori, che non sulle citycar. Per queste la soluzione è l’elettrico, accontentandosi di una batteria tarata sull’utilizzo classico di una vettura cittadina. A partire dal 2025, con limiti sulle emissioni ancora più stringenti, il problema si porrà anche per le segmento B.
Ha detto che la Renault deve passare dalla quantità alla qualità: cosa implica questo concetto?
Senza dare giudizi di merito su quanto è stato fatto in Renault fino a oggi, considerando la situazione e il contesto mi sembra logico e corretto abbandonare l’idea che ha guidato questa azienda negli ultimi dieci anni e ricentrare il lavoro sul valore aggiunto: nella scelta dei mercati, nella costruzione della gamma, nell’individuazione di nicchie redditizie. È la stessa strada che ho percorso alla Seat.
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