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Industria e Finanza

Auto elettriche
Startup anti Tesla, tra il dire e il fare c'è... 'l'inferno produttivo'

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Negli ultimi anni, sono nate diverse startup intenzionate a replicare il successo ottenuto dalla Tesla nel campo della mobilità elettrica: Lucid, Nikola o Rivian sono solo alcune delle tante realtà che, soprattutto negli Stati Uniti, hanno deciso di sbarcare nel mondo delle quattro ruote pensando di produrre auto in un "la". Peccato che le promesse di un rapido aumento della produzione e delle consegne si stiano scontrando con la dura realtà, già oggetto di chiari avvertimenti da parte di Elon Musk qualche anno fa. Musk, infatti, ha coniato un termine per esemplificare le difficoltà che hanno messo a rischio la stessa sopravvivenza della sua creatura: "Inferno produttivo". Ed è proprio questo inferno che ora sta interessando le attività delle anti Tesla, facendo deragliare i loro piani e le tante promesse.

Gli allarmi. La Lucid è solo l’ultimo caso di un’azienda partita con grandi progetti e ambizioni e trovatasi ad affrontare le difficoltà di passare dal “foglio bianco” all’assemblaggio di prodotti che rimangono complessi anche se sono elettrici. Evidentemente, gli avvertimenti di Musk e quelli dei massimi esponenti del settore automobilistico non sono serviti a far riflettere gli “startupper” statunitensi su quanto difficile sia produrre automobili. Il tema dei costi elevati (sollevato spesso e volentieri dall’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, o dal suo omologo della Renault, Luca de Meo) è legato non solo alla necessità di acquistare materie prime o componenti al momento non abbastanza disponibili, ma anche alla particolare complessità di alcune fasi della realizzazione delle auto e ancor di più di quelle alla spina. Pensare che basti montare su un telaio un pacco batterie e un propulsore per assemblare un veicolo elettrico è fuorviante: sono necessari accorgimenti tecnici e manifatturieri completamente diversi rispetto alle attività tradizionali, che già di per sé hanno connotati di complessità con ben pochi pari nell’intera industria globale. Nel caso della Tesla, Musk ha ammesso che l’inferno produttivo è stato causato dall’eccessiva dipendenza dai robot e dall'intelligenza artificiale. In sostanza, la troppa tecnologia ha frenato i programmi della Model 3, causato continui rinvii nelle consegne e spinto l’azienda sull’orlo del fallimento (Musk ha rivelato di aver proposto alla Apple di acquistare la Tesla).

I problemi della Lucid. La lezione non è evidentemente servita, se è vero che oggi la Lucid si trova nella stessa situazione di inferno produttivo. La startup ha difficoltà non solo a produrre abbastanza esemplari della sua prima auto, la Air, per soddisfare le richieste (alla fine di febbraio risultavano 25 mila prenotazioni), ma è stata costretta a rinviare il lancio del suo secondo modello, la Suv Gravity, dalla fine del 2023 al 2024 inoltrato. L’amministratore delegato Peter Rawlinson ha attribuito il rallentamento produttivo a difficoltà di approvvigionamento di componenti banali come la moquette o i vetri (non a dispositivi cruciali come i semiconduttori) e a problemi nel cosiddetto “ramp-up” della produzione, ossia nella capacità di passare da poche decine a centinaia, se non migliaia, di veicoli. La Lucid ha avviato le sue attività presso il suo impianto di Casa Grande, in Arizona, solo lo scorso settembre e da allora ha sfornato appena 400 veicoli. Inoltre, gli obiettivi di produzione per il 2022 sono stati tagliati da 20 mila unità a 12-14 mila. Si tratta di un taglio consistente per un’azienda che si è prefissata di arrivare a 150 mila veicoli entro il 2025, anche grazie a un progressivo ampliamento delle sue strutture produttive: la capacità è destinata a salire da 34 mila unità a 90 mila entro la fine del 2023. L’inferno produttivo non pare di buon asupicio neanche per i progetti di espansione industriale in Cina ed Europa, ma i vertici aziendali non sembrano farci caso, nella convinzione che una soluzione sia dietro l'angolo.

Il caso Rivian. L’ottimismo è un segno distintivo di tutte le startup statunitensi definite, a torto o a ragione, "anti Tesla". Una di queste è la Rivian, alle prese con problemi la cui soluzione è stata affidata, guarda caso, a ex manager di grandi costruttori tradizionali, come Tim Fallon della Nissan. L’azienda ha letteralmente "scioccato” il mercato poco dopo il suo debutto in Borsa, rivelando tassi di produzione bassissimi per il suo R1T: tra la metà di settembre e la fine di ottobre ne erano stati assemblati appena 56, mentre le consegne ammontavano a solo 42. A un ritmo del genere, la Rivian avrebbe impiegato oltre 60 anni per soddisfare le prenotazioni di allora (50 mila circa). L'azienda ha bruciato tutto il credito accumulato nella sua fase di pre-produzione e non è bastato il miglioramento dei mesi successivi: nella relazione sul quarto trimestre, chiuso con una perdita monstre di oltre 2,4 miliardi di dollari, è stato rivelato che, tra l'1 gennaio e l'8 marzo, sono stati assemblati 1.410 veicoli (2.425 dall'avvio produttivo) e che le attività industriali sono state sottoposte a un fermo reso necessario per aggiornare le linee di assemblaggio a Normal (Illinois) e quantomeno raddoppiare la capacità. Tuttavia, la Rivian ha fatto presente che le difficoltà di approvvigionamento limiteranno la produzione annuale a 25 mila unità, la metà di quanto originariamente programmato. Buona parte delle 83 mila persone che hanno ordinato gli R1T e R1S potrebbero, dunque, aspettare fino al 2023 prima di ricevere il loro veicolo. 

Canoo e Nikola. Anche altre startup sono alle prese con analoghi problemi di credibilità. E' il caso della Nikola, finita nel tritacarne delle polemiche e delle inchieste giudiziari per i roboanti annunci del suo fondatore Trevor Milton su una tecnologia all’avanguardia solo a parole. Milton era riuscito perfino a convincere la General Motors della bontà delle sue affermazioni e a siglare un accordo di alleanza prima di finire sotto inchiesta per frode. E sempre di frode si parla anche per la Canoo o per la Lordstown Motors. Anche quest’ultima aveva promesso risultati roboanti sin dopo l’acquisto dell’omonimo impianto della General Motors in Ohio, ma, negli ultimi mesi, ha più volte rinviato la produzione del pick-up elettrico Endurance: alla fine, ha trovato nella Foxconn il cavaliere bianco in grado di acquistare parte delle strutture produttive. In ogni caso, è evidente che l’auto, elettrica o tradizionale, sia una faccenda ben più complicata di quanto si possa immaginare. Lo dimostrano la decisione di Henrik Fisker di affidarsi a realtà del calibro della Magna per non replicare il fallimento della sua vecchia Fisker Automotive e ancor di più le difficoltà affrontate dalla Volkswagen con la sua prima elettrica, la ID.3. E in questo caso non si tratta di una startup, bensì di un colosso da 6 milioni di vendite l’anno e con quasi 100 anni di vita.

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