La nuova Hyundai i20 punta ancora di più su un design aggressivo e su una sempre crescente qualità. L’aspetto è personalizzato da una bocca anteriore vorace, dalla forma affilata e pungente dei proiettori, dal cofano teso verso l’asfalto. Completano il nuovo look le pieghe della fiancata, ricca di nervature, il profilo slanciato, i gruppi ottici posteriori a freccia. La scheda tecnica, da parte sua, conferma la sensazione di trovarsi davanti a una Hyundai i20 profondamente trasformata: è più piantata a terra, grazie all’aumento di tre centimetri in larghezza e la perdita di due in altezza, per una lunghezza di 4,04 metri. Da una parte, dunque, la coreana vuole restituire un’immagine più fresca di sé, dall’altra rimane estremamente funzionale. Il pragmatismo traspare anche nell’abitacolo, con una plancia piuttosto semplice nei materiali (è costruita interamente di plastica rigida), ma con alcune particolarità stilistiche, come le lamelle orizzontali che nascondono le bocchette dell’aria. Davanti agli occhi di chi guida – sull’allestimento top, denominato Bose per la presenza dell’impianto audio premium a otto altoparlanti – c’è un pannello digitale da 10,3”, dotato di tre diverse grafiche: ognuna è accoppiata a una specifica modalità di guida (Eco, Comfort e Sport). Sulla destra, il cockpit si prolunga con lo schermo del sistema multimediale, anch’esso da 10,3 pollici, che funziona alla grande e, naturalmente, offre la connettività Apple CarPlay e Android Auto (wireless solamente sull’allestimento Connectline). L’abitabilità è più che soddisfacente: l’allungamento di 10 mm del passo (258 centimetri in totale) ha giocato a favore della i20, che si conferma generosa nello spazio interno, pure per chi siede dietro. Non ci sono le bocchette dell’aria posteriori, ma si può soprassedere; più difficile, invece, mandar giù la capacità del bagagliaio. Perché, sulle varianti 48V, il pozzetto è occupato dalla batteria agli ioni di litio, che fa perdere una certa quantità di litri rispetto ai 352 disponibili sulle altre versioni. C’è comunque un sistema che permette di assicurare contro lo schienale del divano la cappelliera una volta smontata, in modo da sfruttare più facilmente tutto lo spazio disponibile in altezza.
Come va. La i20 parte dalla 1.2 MPI da 84 CV con cambio manuale, onesta e apprezzabile per l’equilibrio delle prestazioni, e arriva alla 1.0 T-GDi mild a 48V con il doppia frizione a sette rapporti. Il mille turbo con sistema mild hybrid a 48V porta in dote una première nel segmento B: si tratta di un dispositivo che, in rilascio (a determinate condizioni) disaccoppia il propulsore dalla trasmissione permettendo all’auto di veleggiare in modalità coasting, al minimo o – in alcune situazioni – perfino a motore spento. Quando si torna sull’acceleratore con il piede, il tre cilindri si riaccende quasi come se nulla fosse. Bene anche il cambio, preciso negli innesti ma caratterizzato da una corsa un po’ lunga. I percorsi extraurbani e in autostrada sono terreni ideali per accorgersi di un comparto telaistico ben fatto, sterzo compreso, e di una silenziosità che pare quella di un segmento superiore. Se fra le curve le sospensioni sostenute aiutano, sulle asperità più accentuate si avverte qualche scossone di troppo, davanti come dietro. I 100 cavalli del tre cilindri turbobenzina, aiutati dal sistema mild hybrid, muovono con una certa scioltezza la i20, anche se il meglio arriva ad andature più dolci. Pure (e soprattutto) in termini di consumo di benzina: durante un tragitto di circa 150 chilometri, affrontato con una guida brillante ma non troppo, il computer di bordo ha segnato una media di 17 km/litro.