Ormai siamo abituati al bip-bip che aumenta di frequenza quando in retromarcia ci avviciniamo a un ostacolo, visto che i sensori di parcheggio sono diffusi persino sulle utilitarie. Ma come funzionano?
A ultrasuoni. Il principio su cui si basano è quello del sonar: i rilevatori posti sul paraurti (di solito quattro, ma i sistemi aftermarket possono prevederne anche solo due) emettono onde sonore a ultrasuoni che vengono riflesse dagli ostacoli vicini alla vettura. Misurando il tempo che esse impiegano per tornare ai sensori la centralina del sistema può determinare la distanza dall’oggetto e quindi modificare la frequenza del tono di avviso emesso da un piccolo altoparlante, che si fa più alta man mano che ci si avvicina all’ostacolo, fino a diventare un suono continuo quando lo spazio si è ridotto al limite di sicurezza. In presenza dei rilevatori frontali, la tonalità del cicalino è diversa da quella emessa da quelli posteriori. In passato all’avviso acustico si poteva aggiungere quello visivo mediante led gialli e rossi che si accendono progressivamente, mentre oggi i dispositivi più sofisticati sono in grado di evidenziare sulla sagoma della vettura mostrata sul display della strumentazione o in quello del sistema di infotainment le parti della coda o del frontale che si stanno approssimando agli oggetti vicini all’auto. L’allarme diventa ancora più chiaro quando tale visualizzazione è riportata sull’immagine delle telecamere di cui può essere dotata la vettura.
Anche sulle fiancate. Da notare che anche i sistemi di parcheggio automatico si basano sui normali sensori a ultrasuoni, cui se ne aggiunge uno per fiancata (di solito posto sullo scudo anteriore, in prossimità delle ruote) per “scandagliare” gli spazi tra un’auto e l’altra mentre si avanza lentamente. Quando la centralina ne rileva uno di dimensioni sufficienti ad accogliere la vettura, lo segnala al conducente che così può dar via alla manovra che fa entrare automaticamente l’auto nello stallo.
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