Per decenni, il dubbio è stato al massimo: la compro a benzina o diesel? Qualche coraggioso si buttava sul gas, che fosse metano o Gpl. Le elettriche? Mosche bianche. Le ibride? Buone per i tassisti, ai quali la Toyota faceva ponti d’oro perché scegliessero una Prius e se ne facessero ambasciatori con i loro clienti. Oggi, però, le cose sono cambiate: l’offerta è enormemente diversificata, le tecnologie si sono moltiplicate sotto la spinta delle esigenze ambientali e l’evoluzione delle normative. E il processo decisionale, per i consumatori, è diventato molto più complicato. Ogni soluzione, come sempre, ha pregi e difetti. Ne abbiamo qui sintetizzati alcuni, con l’intento di aiutare a chiarirsi le idee chi, dovendo fare una mossa, vuole avere la certezza che sia quella giusta.
Motori a benzina. Hanno una speranza di vita più lunga, rispetto a quella di altri propulsori: sono destinati a venire sviluppati ancora per un po’ di anni, secondo i trend più recenti. Che vedono una riduzione del numero dei cilindri (spopolano i tre, ma anche i frazionamenti da top car sono destinati al taglio e i dodici alla sparizione progressiva) e delle cubature: il tutto compensato dalla sovralimentazione (con il turbo, perlopiù) e dalla presenza di un aiutino elettrico (vedi alla voce mild hybrid). Godendo di minori limitazioni alla circolazione, sono indicate soprattutto a chi usa l’auto in città; un altro vantaggio è dato dal buon valor residuo e dalla facilità di rivendita, soprattutto dei modelli appartenenti alle fasce inferiori del mercato. Non manca, ovviamente, qualche svantaggio, il primo dei quali è la minore efficienza intrinseca di questo tipo di propulsore rispetto al diesel: i conseguenti consumi maggiori lo rendono meno adatto ai viaggi autostradali e, in generale, alle lunghe percorrenze. Se siete automobilisti da più di 20 mila chilometri l’anno, i propulsori a benzina non fanno per voi.
Motori a gasolio. Il diesel, sia chiaro, è vittima di un’ostilità insensata: di suo, ha un elevato rendimento termico, superiore a quello dei propulsori a benzina, e anche se il prezzo del gasolio non è più così distante da quello della benzina (anzi, per un certo periodo lo ha superato), la convenienza permane, essendo il suo consumo mediamente inferiore del 20%. Dunque, nonostante tutto, il diesel resta la soluzione ideale per chi deve mettere in conto lunghe percorrenze annuali. Può valere, però, la pena spendere qualcosa in più per i (pochi) diesel ibridi proposti dalle Case, perché l’elettrificazione aiuta a superare le barriere che ottusi politici erigono sempre più contro i motori ad accensione spontanea. Ed è proprio questo lo svantaggio principale del diesel: il rischio d’incappare in divieti di utilizzo, talvolta estesi anche alle omologazioni ambientali più recenti. Cosa che si riflette sul valore residuo nelle aree urbane, perché, in linea generale, la domanda di usato a gasolio, meglio se relativamente fresco, a livello nazionale è ancora elevata.
Le bifuel. Parliamo di auto con alimentazione mista data dalla compresenza di benzina e Gpl o metano. Anche nei momenti di alte quotazioni del petrolio, il Gpl ha continuato a essere abbastanza conveniente; in più, gode di una buona rete di distribuzione, che ha superato ormai i 5 mila punti sul territorio nazionale. Non incide negativamente sulle prestazioni e non richiede più il collaudo alla Motorizzazione civile, se si decide, dopo l’acquisto dell’auto, di trasformarla a gas presso un installatore autorizzato. Gli svantaggi derivano, per questo gas liquido, dal suo ridotto potere calorifico, pari a 5.500 k/cal litro contro i 7.700 della benzina: i consumi aumentano circa del 30%. Discorso diverso per il metano, il cui prezzo ha risentito di recente della crisi del gas, al punto da rendere sconsigliabile l’acquisto di una vettura così alimentata: ora che il momento peggiore è stato superato, restano le remore per un choc economico difficile da accettare. Cosa che ha anche inevitabili ricadute sul valore dell’usato.
Le ibride mild. Presto o tardi, tutte le auto saranno così: è un processo irreversibile, dettato dalla necessità di abbassare, almeno nel ciclo di omologazione, il livello delle emissioni. L’aiutino elettrico consente, almeno per ora, di veder stampata sulla carta di circolazione la scritta “ibrido”, che offre qualche vantaggio, pure se si tratta di una diesel mild hybrid. Anche se in elettrico non si viaggia praticamente mai (il motogeneratore dà una mano nelle riaccensioni dovute allo start&stop e negli spunti), qualche beneficio in termini di consumi lo si ottiene soprattutto in ambito urbano; anche in questo caso, se il sistema mild non è abbinato a un propulsore termico a gasolio, sulle lunghe distanze la convenienza svanisce.
Le ibride full. Anche se oggi sono basate su tecnologie tra loro diverse (un tempo esisteva praticamente solo il sistema Toyota, oggi ce ne sono di differenti, in serie e in parallelo), le vetture a doppia propulsione (termica ed elettrica) che, grazie a uno o più motogeneratori e a una batteria di capacità modesta, riescono a percorrere manciate di metri o chilometri in modalità full electric, sono ideali per un uso cittadino o sulle strade extra-urbane con molti rallentamenti (per esempio, rotonde). Questo perché l’accumulatore si ricarica a costo zero nelle decelerazioni, recuperando energia in fase di frenata. Consumi ed emissioni finiscono così per diminuire, a beneficio dell’utilizzatore e dell’ambiente. Lo svantaggio, per le ibride full, emerge quando si marcia invece a velocità costante, per esempio su superstrade e autostrade dove, per mancanza di rallentamenti, la batteria non si ricarica e la percorrenza in modalità elettrica praticamente si azzera. A rimanere, invece, è il maggior peso della componente ibrida, che in queste situazioni incide negativamente sui consumi, oltre che sul prezzo di listino.
Le ibride plug-in. Sono dotate di una batteria più capace e ricaricabile dalla rete elettrica che, quindi, consente di percorrere qualche decina di chilometri (da 30-40 fino a 100, nei casi più avanzati) a emissioni zero. Sono auto perfette per chi si sposta in città, perché in autostrada, esaurita la carica, hanno lo svantaggio di consumare di più, anche causa del maggior peso (come le ibride full, ma con massa maggiore). Le plug-in hanno comunque senso a due condizioni: che l’utilizzatore s’impegni a ricaricare dalla rete la batteria con costanza (anche mediante una wallbox di casa), riducendo così i consumi di carburante, e che abbia voglia d’impostare sempre il tragitto sul navigatore, che provvederà a ottimizzare l’utilizzo dell’accumulatore in base al percorso.
Le elettriche. Sono l’oggetto della discordia, amato o odiato da sostenitori e detrattori. Barriere ideologiche a parte, per chi possono realmente andar bene? A chi ha facile accesso alla ricarica, ovviamente, e a chi gode del privilegio di potersi muovere sempre in aree urbane dove, a zone o interamente, scattano divieti di utilizzo delle auto con motore a combustione. Poi ci sono altri vantaggi: il minor costo dell’elettricità, se ci si sa orientare nella giungla di tariffe e abbonamenti (anche per l’utilizzo delle colonnine pubbliche, altrimenti onerose); l’esenzione dal pagamento della tassa di possesso, momentanea o permanente; il parcheggio gratuito nelle strisce blu, ove previsto; i costi di manutenzione e assicurazione inferiori rispetto a quelli delle auto con motore a combustione. Gli svantaggi sono facilmente immaginabili: autonomia ancora limitata per le lunghe percorrenze, tempi di ricarica lunghi in alcune condizioni, rete di colonnine non ancora abbastanza sviluppata e soggetta a malfunzionamenti. Aggiungiamo a tutto questo i timori relativi all’obsolescenza della tecnologia, dovuta al suo rapido sviluppo: le auto elettriche di pochi anni fa appaiono oggi già superate, sotto molteplici aspetti. Per utilizzare bene una Bev, infine, servono programmazione e pianificazione degli spostamenti, cosa che si addice a tutti gli utilizzatori. Infine, lo svantaggio maggiore: il costo delle auto, ancora più elevato, nonostante gli incentivi, rispetto a quello delle vetture con motore termico. Salvo rare eccezioni e, comunque, con una tendenza alla riduzione del gap.
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